
Santo Alfa Romeo Alfasud! Lanciata nel 1972, la compatta milanese era molto più di una semplice automobile: era la punta di diamante di un vero e proprio progetto politico e industriale, sostenuto dallo Stato italiano (che all'epoca possedeva il marchio attraverso la struttura dell'IRI), per sviluppare il Mezzogiorno "povero" rispetto al ricco nord della penisola. L'idea era quella di creare posti di lavoro costruendo a Pomigliano d'Arco una fabbrica dedicata a questa vettura. L'Alfasud fu un successo commerciale, con oltre un milione di esemplari prodotti, ma purtroppo contribuì anche a danneggiare l'immagine del marchio, con problemi di qualità costruttiva (la famosa ruggine!) e di affidabilità che avrebbero avuto effetti duraturi sulla reputazione del Biscione. Così, mentre l'Alfasud rappresentò le prime emozioni alfiste per un'intera generazione, per altri fu l'inizio del declino.

L'Alfasud ebbe una carriera sportiva, che si concretizzò in pista con il Trofeo Alfasud, ma anche nei rally, con la Ti che ottenne diverse vittorie di classe, in particolare a Monte Carlo. L'avvento del regolamento del Gruppo B, iniziato ufficialmente nel 1983, con le sue norme permissive, la libertà tecnica e le regole di omologazione flessibili, spinse molti costruttori a interessarsi e a sviluppare prototipi. È così che l'Autodelta, il reparto competizioni del costruttore, si mise al lavoro su una 6C Sprint.
Cuore di Alfetta
I due esemplari preparati da Autodelta sostituirono il 4 cilindri boxer e la trazione anteriore con un'architettura a trazione posteriore e, soprattutto, con un V6 Busso da 2,5 litri sotto il cofano, derivato dalla GTV6, montandolo al posto della panchetta posteriore in posizione longitudinale, nonché con il cambio ZF a 5 rapporti. Inizialmente era stata presa in considerazione l'idea di montare un turbo sul boxer, ma Carlo Chiti preferì l'affidabilità del motore ad aspirazione naturale. Con 160 CV e un peso di poco inferiore alla tonnellata, è facile immaginare il carattere di questa vettura compatta! I dati annunciati si basavano su una velocità massima di 215 km/h e una partenza da fermo di 1.000 metri in 27,3 secondi.

Mentre il V6 della GTV era esattamente di 2492 cc, la Sprint 6C fu omologata con un motore di 2503 cc. Questa mossa fu fatta in modo che, una volta approvata l'omologazione della 6C, questa potesse essere "aggiornata" con un motore da 3 litri da 300 CV, invece dei 220-230 CV dei motori V6 da 2,5 litri che correvano nel Campionato Europeo Turismo. Furono implementati nuovi paraurti, un nuovo spoiler posteriore e l'uso di passaruota più larghi, così come la trazione posteriore e il cambio a cinque marce con differenziale accoppiato.
Un proto che ha fatto scalpore a Parigi
Una prima versione del prototipo fu presentata al Salone di Parigi nell'ottobre 1982. Questo prototipo si basava sulla Sprint di prima generazione introdotta nel 1976, mentre la fase 2 sarebbe arrivata nel 1983, ma il design incorporava già elementi del restyling, tra cui le quattro luci rotonde anteriori.

Disegnata da Zagato, la carrozzeria ad ali larghe presenta paraurti aerodinamici, specchietti retrovisori aerodinamici, un lunotto coperto da una griglia orizzontale, un doppio terminale di scarico posizionato centralmente sotto il paraurti posteriore e un grande adesivo "Sprint 6C", stampato con un design che ricorda gli anni '80, che copre la parte posteriore dello spoiler, la cui parte interna è occupata da due prese d'aria.

Gli interni sono caratterizzati da sedili in pelle con poggiatesta aperti (come sulla Giulietta Turbodelta o sulle ultime GTV6), tunnel del cambio e console ace rivestiti in pelle (!) e pavimento rivestito in rosso. È un'auto che non passerà inosservata.

Prototipo 2: a un passo dalla produzione
Un secondo prototipo arrivò poco dopo e apparve più sofisticato, preannunciando una vera e propria versione di serie. Il paraurti anteriore divenne più muscoloso, con fendinebbia e griglia cromata, i rivestimenti interni divennero neri, i vetri posteriori furono realizzati in plexiglas e la copertura del lunotto, ora in tinta con la carrozzeria, era meglio integrata dal punto di vista aerodinamico.

Anche i cerchi più larghi (ma sempre da 15 pollici) presentano un nuovo design con fori, mentre lo specchietto retrovisore, ora unico, ha una forma "classica" simile a quella della Sprint restyling di serie. Lo spoiler posteriore, integrato nella carrozzeria, è stato accentuato ed è ora in due parti: la prima parte è integrata nel portellone posteriore e si incastra con la seconda parte, integrata nel pannello posteriore della carrozzeria. L'adesivo della 6C Sprint è stato rimosso, per essere sostituito dal logo del marchio (naturalmente a colori, a differenza di quello attuale).

Un estrattore d'aria compare anche sotto la targa, a monte del radiatore dell'olio. Gli scarichi sono ora separati ai lati del paraurti posteriore e meglio integrati. All'interno, il volante Momo e i sedili a secchiello sono molto più moderni e in stile "racing", ma alcuni dei rivestimenti in pelle della 1er Il prototipo è scomparso. La leva del cambio è identica a quella della Lancia Rally 037.

Principio di realtà
Tutto sembrava promettente... ma non c'era altro da fare. L'Alfa Romeo era già impegnata in un importante programma con il motore turbo in F1 (che fu un notevole flop), in un momento in cui la situazione finanziaria del costruttore era critica. L'Alfa Romeo non aveva le risorse per industrializzare un progetto del genere, che richiedeva 200 vetture di serie per l'omologazione. Inoltre, l'assenza della trazione integrale fece temere che le prestazioni della vettura fossero limitate e riservate alle gare su asfalto, in un momento in cui la categoria del Gruppo B era in rapida evoluzione. Nel 1986, la fine prematura del Gruppo B e la vendita dell'Alfa Romeo, fino ad allora sotto il controllo dello Stato, alla FIAT, che diede la priorità alla Lancia nei rally, posero definitivamente fine a tutte le speculazioni. La GTV6, la 75 Turbo e la 33 continuarono la tradizione rallystica dell'Alfa Romeo con ottimi risultati nel Gruppo A e nel Gruppo N.

Vale la pena di notare che l'Alfasud ha salvato l'AlfaRomeo dall'estinzione perché la gamma a trazione posteriore all'epoca era in declino commerciale. Per quanto riguarda la ruggine e l'affidabilità... beh, è un problema generale di tutti gli italiani dell'epoca, ahimè. La mia MC Serie 2 era fortunatamente già molto migliorata...